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no. Se ottengo la morte morrò così tranquillo e così
contento, come se mai null altro avessi sperato né de-
siderato al mondo. Questo è il solo benefizio che può
riconciliarmi al destino. Se mi fosse proposta da un
lato la fortuna e la fama di Cesare o di Alessandro
netta da ogni macchia, dall altro di morir oggi, e che
dovessi scegliere, io direi, morir oggi, e non vorrei
tempo a risolvermi.
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Letteratura italiana Einaudi
Giacomo Leopardi - Operette morali
APPENDICE
ALLE OPERETTE MORALI
*
COMPARAZIONE DELLE SENTENZE DI
BRUTO MINORE E DI TEOFRASTO VICINI
A MORTE
Io non credo che si trovi in tutte le memorie dell anti-
chità voce più lagrimevole e spaventosa, e con tutto ciò,
parlando umanamente, più vera di quella che Marco
Bruto, poco innanzi alla morte, si racconta che proffe-
risse in dispregio della virtù: la qual voce, secondo ch è
riportata da Cassio Dione, è questa: O virtù miserabile,
eri una parola nuda, e io ti seguiva come tu fossi una cosa;
ma tu sottostavi alla fortuna. E comunque Plutarco nella
Vita di Bruto non tocchi distintamente di questa sen-
tenza, laonde Pier Vettori dubita che Dione in questo
particolare faccia da poeta più che da storico, si mani-
festa il contrario per la testimonianza di Floro, il quale
afferma che Bruto vicino a morire proruppe esclaman-
do che la virtù non fosse cosa ma parola. Quei moltissi-
mi che si scandalezzano di Bruto e gli fanno carico della
detta sentenza, danno a vedere l una delle due cose; o
che non abbiano mai praticata familiarmente colla virtù,
o che non abbiano esperienza degl infortuni, il che, fuo-
ri del primo caso, non pare che si possa credere. E in
ogni modo è certo che poco intendono e meno sentono
la natura infelicissima delle cose umane, o si maraviglia-
no ciecamente che le dottrine del Cristianesimo non
fossero professate avanti di nascere. Quegli altri che tor-
cono le dette parole a dimostrare che Bruto non fosse
mai quell uomo santo e magnanimo che fu riputato vi-
vendo, e conchiudono che morendo si smascherasse, ar-
gomentano a rovescio: e se credono che quelle parole
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Letteratura italiana Einaudi
Giacomo Leopardi - Operette morali
gli venissero dall animo, e che Bruto, dicendo questo,
ripudiasse effettivamente la virtù, veggano come si pos-
sa lasciare quello che non s è mai tenuto, e disgiungersi
da quello che s è avuto sempre discosto. Se non l hanno
per sincere, ma pensano che fossero dette con arte e per
ostentazione; primieramente che modo è questo di ar-
gomentare dalle parole ai fatti, e nel medesimo tempo
levar via le parole come vane e fallaci? volere che i fatti
mentano perché si stima che i detti non suonino allo
stesso modo, e negare a questi ogni autorità dandoli per
finti? Di poi ci hanno a persuadere che un uomo sopraf-
fatto da una calamità eccessiva e irreparabile; disanima-
to e sdegnato della vita e della fortuna; uscito di tutti i
desideri, e di tutti gl inganni delle speranze; risoluto di
preoccupare il destino mortale e di punirsi della propria
infelicità; nell ora medesima che esso sta per dividersi
eternamente dagli uomini, s affatichi di correr dietro al
fantasma della gloria, e vada studiando e componendo
le parole e i concetti per ingannare i circostanti, e farsi
avere in pregio da quelli che coli si dispone a fuggire, in
quella terra che se gli rappresenta per odiosissima e di-
spregevole. Ma basti di ciò.
Laddove le soprascritte parole di Bruto s hanno tutto
giorno, si può dire, fra le mani; queste che soggiungerò
di Teofrasto moribondo, non credo che uscissero mai
delle scritture degli eruditi (dove anche non so il conto
che se ne faccia), non ostante che sieno degnissime di
considerazione, e che abbiano molta corrispondenza col
detto di Bruto si per l occasione furono pronunziate, e sì
per la sostanza loro. Diogene Laerzio le riferisce, co-
piando, per quello ch io mi persuado, qualche scrittore
più antico e più grave, com è solito di fare. Dice dunque
che Teofrasto venuto a morte e domandato da suoi di-
scepoli se lasciasse loro nessun ricordo o comandamen-
to, rispose: Niuno; salvo che l uomo disprezza e gitta
molti piaceri a causa della gloria. Ma non così tosto in-
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Giacomo Leopardi - Operette morali
comincia a vivere, che la morte gli sopravviene. Perciò
l amore della gloria è così svantaggioso come che che
sia. Vivete felici, e lasciate gli studi, che vogliono gran
fatica; o coltivategli a dovere, che portano gran fama. Se
non che la vanità della vita è maggiore che l utilità. Per
me non è più tempo a deliberare: voi altri considerate
quello che sia più spediente. E così dicendo spirò.
Altre cose dette da Teofrasto vicino a morte si trova-
no mentovate da Cicerone e da san Girolarno, e sono
più divulgate; ma non fanno al nostro proposito. Per
queste che abbiamo veduto si risolve che Teofrasto in
età di sopra cent anni; avendola spesa tutta a studiare e
scrivere, e servire indefessamente alla fama; ridotto, co-
me dice Suida, all ultimo della vita per l assiduità mede-
sima dello scrivere; circondato da forse duemila disce-
poli, ch è quanto dire seguaci e predicatori delle sue
dottrine; riverito e magnificato per la sapienza da tutta
la Grecia, moriva, diciamo così, penitente della gloria,
come poi Bruto della virtù. Le quali due voci, gloria e
virtù, non veramente oggi, ma fra gli antichi sonavano
appresso a poco il medesimo. E però Teofrasto non se-
guitò dicendo che la stessa gloria le più volte è opera
della fortuna piuttosto che del valore; il che non si pote-
va dire anticamente così bene come oggidì: ma se Teo-
frasto l avesse potuto aggiungere, non mancava al suo
concetto nessuna parte che esso non fosse ragguagliatis-
simo a quello di Bruto.
Questi tali rinnegamenti, o vogliamo dire, apostasie
da compongono la nostra vita, cioè tutto quello che ha
della vita piuttosto che della morte, riescono ordinarissi-
mi e giornalieri dopo che l intelletto umano coll andare
dei secoli ha scoperto, non dico la nudità, ma fino agli
scheletri delle cose, e dopo che la sapienza, tenuta dagli
antichi per consolazione e rimedio principale della no-
stra infelicità, s è ridotta a denunziarla e quasi entrarne
mallevadrice a quei medesimi che, non conoscendola, o
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Giacomo Leopardi - Operette morali
non l avrebbero sentita, o certo l avrebbero medicata
colla speranza. Ma fra gli antichi, assuefatti com erano a
credere, secondo l insegnamento della natura, che le co-
se fossero cose e non ombre, e la vita umana destinata
ad altro che alla miseria, queste sì fatte apostasie cagio-
nate, non da passioni o vizi, ma dal senso e discernimen-
to della verità, non si trova che intervenissero se non di
rado; e però, quando si trova, è ragione che il filosofo le
consideri attentamente.
E più maraviglia ci debbono fare le sentenze di Teo-
frasto, quanto che le condizioni della sua morte non si
potevano chiamare infelici, e non pare che Teofrasto se
ne potesse rammaricare, avendo conseguito e goduto fi-
no allora per lunghissimo spazio il suo principale inten-
to, ch era stata la gloria. Laddove il concetto di Bruto fu
come un ispirazione della calamità, la quale alcune volte
ha forza di rivelare all animo nostro quasi un altra terra,
e persuaderlo vivamente di cose tali, che bisogna poi
lungo tempo a fare che la ragione le trovi da se medesi-
ma, e le insegni all universale degli uomini, o anche de
filosofi solamente. E in questa parte l effetto della cala-
mità si rassomiglia al furore de poeti lirici, che d un oc-
chiata (perocché si vengono a trovare quasi in grandissi-
ma altezza) scuoprono tanto paese quanto non ne sanno
scoprire i filosofi nel tratto di molti secoli. In quasi tutti
i libri antichi (o filosofi o poeti o storici o qualunque sie-
no gli scrittori) s incontrano molte sentenze dolorosissi-
me, che se bene oggidì corrono più volgarmente, non
per questo si può dire che fra gli uomini di quei tempi
fossero pellegrine. Ma esse per lo più derivano dalla mi-
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